Diario a tesi

come le idee cambiano

22 marzo 2013

Filed under: Uncategorized — Marco Maffioletti @ 9 h 50 min

Come potrebbe essere per una Fenice, le utopie possono bruciare più volte e più volte rinascere dalle proprie ceneri – magari con una spetto molto diverso rispetto al precedente. Così, il sogno anarchico di uno Stato organicamente coordinato alla società, Stato espressione della società bruciò in gran parte tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Le sue ceneri in parte rinacquero con Adriano Olivetti, persona estremamente complessa e dove si sommavano stimoli politici e intellettuali di provenienza disparata. Oggi Grillo ha soffiato sulle ceneri di Olivetti e dell’anarchismo, ma non è nata una nuova Fenice, ma solo tanto fumo e niente arrosto, solo fuochi d’artificio, solo spettacolo, solo parole.

ilNichilista

Nel giorno in cui Grillo rilancia la ‘Democrazia senza partiti’ di Adriano Olivetti, per un attimo mi è venuto in mente quanto fosse impopolare la difesa dei partiti quando l’ho sostenuta con qualchepost poco meno di un anno fa, e quanto oggi sia diventata (di nuovo) la retorica dominante – almeno da quanto mi sembra di cogliere su Internet, sui giornali e parlandone con addetti e non. Che la democrazia diretta o partecipata o digitale o liquida sia un ideale lontano dal divenire praticabile in tempi brevi, e soprattutto che potrebbe non essere ideale il suo avverarsi, mi sembra un pensiero più diffuso non solo in chi fino a ieri non ci aveva pensato, ma anche e soprattutto in chi lo sapeva benissimo e per qualche ragione non credeva fosse venuto il momento, o più semplicemente fosse il caso, di tematizzarlo. Oggi non passa giorno senza che la stampa…

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Un mio breve saggio sulla biblioteca di Adriano Olivetti 10 gennaio 2013

Filed under: testi — Marco Maffioletti @ 9 h 33 min
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Ringrazio la Fondazione Adriano Olivetti, e in particolar modo Beniamino De’ Liguori e Francesca Limana, che mi hanno permesso di sfogliare i libri di Adriano Olivetti, conservati nella sede di Roma, e hanno poi pubblicato un mio breve saggio sulla biblioteca in questione, scaricabile e leggibile unitamente al catalogo della stessa

http://www.fondazioneadrianolivetti.it/pubblicazioni.php?id_pubblicazioni=250

https://i0.wp.com/www.fondazioneadrianolivetti.it/_images/pubblicazioni/collana/122112051329La%20Biblioteca%20di%20Adriano%20Olivetti-1.jpg

 

Un mio articolo online: L’Olivetti d’Adriano. Une image industrielle du personnalisme et du communautarisme 21 dicembre 2012

Filed under: testi — Marco Maffioletti @ 8 h 55 min
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Qualche mese fa una rivista online belga ha pubblicato un mio articolo, in libero accesso, sui rapporti di influenza e reinterpretazione del personalismo mouneriano nell’immagine della Olivetti di Adriano. Un principio di una riflessione su estetica, design, filosofia d’impresa …

Marco Maffioletti, « L’Olivetti d’Adriano. Une image industrielle du personnalisme et du communautarisme », COnTEXTES [En ligne], 12 | 2012, mis en ligne le 21 août 2012, consulté le 20 décembre 2012. URL : http://contextes.revues.org/5545 ; DOI : 10.4000/contextes.5545

 

 

Tornano le Edizioni di Comunità

Filed under: Uncategorized — Marco Maffioletti @ 8 h 50 min
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Edizioni di Comunità

 

Intervista al direttore delle nuove Edizioni di Comunità, Beniamino de’ Liguori, e alla direttrice della Fondazione Adriano Olivetti, Melina Decaro: http://www.radioarticolo1.com/audio/2012/12/14/14802/memoradio-edizioni-di-comunita-i-libri-di-adriano-olivetti-con-b-de-liguori-e-m-decaro#.UNQTdqzAHE4

 

Eventi e articoli olivettiani 12 settembre 2012

Filed under: testi — Marco Maffioletti @ 22 h 54 min
‘Programmare l’arte. Olivetti e le neoavanguardie cinetiche’
Fino al 14 ottobre la mostra presso il Negozio Olivetti in Piazza San Marco
 

Adriano Olivetti, Luciano Gallino e il lavoro 23 agosto 2012

Filed under: rifletto,testi — Marco Maffioletti @ 10 h 58 min
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Luciano Gallino è un sociologo italiano che, come Franco Ferrarotti, è cresciuto in quanto tale nella Olivetti di Adriano.

Non mi dilungo sull’importanza degli studi sociologici di Gallino, per i quali non avrei tra l’altro la capacità e le conoscenze necessarie per giudicarli. Si sfogli solamente il suo Dizionario di sociologia, edito dalla UTET nel 1978 e poi ristampato ben altre sette volte.

Non mi dilungo nemmeno sui suoi L’impresa responsabile. Un’intervista su Adriano Olivetti (Comunità, Torino, 2001), La scomparsa dell’Italia industriale (Einaudi, Torino, 2003), L’impresa irresponsabile (Einaudi, Torino, 2005), Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità (Laterza, Roma-Bari, 2007) o il più recente Finanzcapitalismo. La civiltà del denaro in crisi (Einaudi, Torino, 2011), che riflettono tutti sulla frattura che a partire dagli anni ’80 è divenuta (almeno per ora) definitiva tra impresa e società, tra economia reale ed economia finanziaria, tra lavoro e capitale.

Mi soffermo invece su due cosette che il nostro ha pubblicato recentemente, e che testimoniano la sua volontà di smantellare i luoghi comuni sul valore del lavoro per l’uomo, per mettere in crisi le situazioni comunemente accettate e talvolta condivise da chi le subisce come la flessibilità, la precarizzazione generale, l’accettazione delle condizioni dettate dal capitalista che ha in vista il solo profitto. situazioni comunemente accettate perché da noi non sufficientemente riflettute, ma solamente perché non tutti siamo sociologi né abbiamo potuto vedere quanto il mondo è cambiato dal secondo dopoguerra ad oggi. Queste due cosette, di cui metto il link sotto, testimoniano che Gallino, a 85 anni (sic! è nato nel 1927), senza dare fiato alle trombe ma con la pacatezza dell’analisi e dell’osservazione, è certo che il mondo del lavoro e, di riflesso, i disequilibri sociali possano essere nettamente migliorati guardando nel passato l’esperienza e il pensiero di Adriano Olivetti. È il suo mantra da 50 anni: osserviamo l’insieme del pensiero e dell’azione di Olivetti; cerchiamo di capirne, più che le cause, gli scopi e le modalità; giudichiamo la bontà e i difetti; rimettiamo in circolo queste idee e questi modi agendi; facciamo in modo che il lavoro ritrovi la propria dignità, che i lavoratori (che non sono solo gli operai, che secondo un mito non sono più in Italia ma solo nei paesi del Bric) ritrovino un’unità esistenziale, ridivengano padroni della loro condizione umana tanto sul luogo di lavoro che negli spazi e nei tempi liberi.

Voglio mettere in evidenza un passaggio, dove è evidente che il ragionamento di Gallino è estremamente semplice e lineare, però è in grado di mettere in luce significati importantissimi, forse dimenticati da altri studiosi di Olivetti

Sorge qui una seconda domanda: per quali motivi la Olivetti agiva in quel modo? Un motivo non trascurabile è che la sua direzione sapeva bene come lavoratori ben retribuiti, sicuri del posto di lavoro, consapevoli di poter contare su servizi sociali che proteggevano loro e la famiglia dai rischi dell’esistenza, e intanto assicuravano a tutti i suoi membri una buona qualità della vita, lavorano di più e meglio. C’è però un motivo più profondo. Ricorre spesso nei discorsi e negli scritti di Adriano Olivetti. È l’idea che, per un verso, i lavoratori traggono un vantaggio dall’impresa che fornisce loro i mezzi di produzione che si trasformano in lavoro e salario. In questo senso essi sono in debito con l’impresa. Per un altro verso l’impresa contrae un debito ancora più grande con i lavoratori a causa della fatica che richiede loro, le capacità professionali che sfrutta, gli oneri che a causa dei suoi tempi e modi di produrre scarica sulla famiglia. Pertanto essi maturano il diritto a essere ripagati in diverse forme, non solo economiche.

 

In famiglia 2 agosto 2012

Filed under: Uncategorized — Marco Maffioletti @ 10 h 11 min

Due belle iniziative su Adriano Olivetti, che permetteranno di rinnovare la sua immagine presso il grande pubblico e gli specialisti

  1. 13° Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia
    LE QUATTRO STAGIONI
    Architetture del Made in Italy
    da Adriano Olivetti alla Green Economy

    a cura di Luca ZeviVenezia, Tese delle Vergini all’Arsenale
    dal 29 agosto al 25 novembre 2012
  2. Il docu-film su Adriano Olivetti, prodotto da Barbareschi e interpretato da Zingaretti (Montalbano)

Perché il titolo “in famiglia”?

Il curatore della Biennale è, come si vede sopra, Luca Zevi, architetto e urbanista riconosciuto, selezionato per il suo progetto espositivo, e nientemeno che il figlio di Bruno Zevi, collaboratore di Adriano Olivetti all’INU, “compagno” in politica all’epoca di Unità Popolare (1953, contro la “legge truffa”), redattore di belle pagine sull’architettura nella rivista “Comunità”.

Il regista del docu-film sarà (le registrazioni inizieranno secondo programma a settembre 2012) Michele Soavi. Di lui ricordo Dell’amore della morte, che a quanto pare non ebbe successo tra il pubblico adulto ma, assicuro, affascinò molti giovani, soprattutto i lettori di Dylan Dog (ne ho visto alcuni spezzoni qualche tempo fa e ammetto che non è un capolavoro…anzi…). Comunque, Michele Soavi è proprio il figlio di Giorgio Soavi, che diresse le Edizioni di Comunità e in seguito le attività artistico-culturali dell’impresa Olivetti, prima di dedicarsi in toto a letteratura e giornalismo (v. il romanzo dedicato a Adriano Olivetti, Il Conte (Longanesi, ’83), e un ritratto biografico, Olivetti, una sorpresa italiana (Rizzoli, 2001)), e sposò una figlia di Adriano, Lidia.

Perché queste cose si fanno “in famiglia”?

Non conosco i rapporti esatti di Luca Zevi e Michele Soavi con il mondo degli olivettiani, ma credo che se influenza vi è stata, questa sia quella dei padri sui figli, che hanno trasmesso una professione ma anche una passione.
Quando potremo vedere i risultati dei lavori olivettiani di Soavi e Zevi, continueremo questo post.

 

Adriano Olivetti – un nome, una “giustificazione”

Filed under: Uncategorized — Marco Maffioletti @ 9 h 34 min

Sul sito di http://www.europaquotidiano.it leggo l’articolo qui sotto.

Il nome di Adriano Olivetti è spesso chiamato in causa da imprenditori, sociologi, politici, professori, ecc. che intendono indicare nel nostro eporediese un modello di gestione della cosa politica. Mi sembra che il suo nome sia usato – e talvolta abusato – per difendersi, per nascondersi dietro un’immagine ormai divenuta in toto positiva nell’opinione pubblica.

Non critico la scelta di Nestlé-Perugina, che credo dia oggettivamente nuove possibilità ai giovani (benché rischi di essere dannosa per i genitori) e alle famiglie, ma l’attitudine che si manifesta dietro la prima frase di questo articolo.

 

Nestlé, dov’è lo scandalo?

«Anche Adriano Olivetti era accusato di essere paternalista». L’idea dello scambio padri-figli proposto dalla Nestlé-Perugina di San Sisto (Perugia) non scandalizza neanche un po’ Bruno Manghi, sociologo ed ex sindacalista Cisl. «Una provocazione? Macché. Anzi una proposta già messa in pratica, con il consenso tacito dei sindacati, anche in Italia e anche di recente, per esempio all’Anas e alle Poste».
Eppure oggi allo stabilimento umbro si sciopererà due ore per ogni turno, anche per dire no alla “marchionizzazione della Perugina”, come l’ha definita con toni un po’ fuori posto il segretario della Cgil Umbria Mario Bravi.
L’idea di Gianluigi Toia, direttore delle relazioni industriali della Nestlé Italia, fa però discutere: part time da 30 ore settimanali ai padri in cambio di un posto ai figli. Uno stipendio e mezzo in famiglia e forze fresche in azienda, secondo la Nestlé. Un modo per dividere un posto di lavoro fisso in due precari, ribattono i sindacati che hanno deciso il blocco di oggi in modo unitario in un’azienda con un vissuto di relazioni industriali relativamente buone.
C’è qualcosa di nuovo anzi di antico nel “patto generazionale” proposto dalla Nestlé. «Se vai a studiare i cognomi dei dipendenti di molte fabbriche, anche della Fiat in certi anni, scopri che sono gli stessi, che il lavoro si è spesso tramandato di padre in figlio», spiega Manghi. «E non solo in Italia: la Michelin, per esempio, ha una storia di grande paternalismo». Un regime di job-property familiare che non piace, per esempio, a un esperto di diritto del lavoro come Pietro Ichino.
Manghi, invece, non si straccia le vesti e invita i sindacati a guardare dentro la proposta prima di rigettarla. «Forse perché di fronte alla delinquenza del capitalismo finanziario un po’ di nostalgia è giustificata». E a chi dice che l’assunzione dei figli è ingiusta rispetto ai tanti che cercano un lavoro senza essere “figli di” il sociologo risponde: «Ma non esiste il concorso universale, le aziende private non assumono per concorso e spesso assumono il figlio perché il padre ha lavorato bene. E poi dove sta scritto che un giovane più intelligente ha più diritto al lavoro di uno meno intelligente?».
L’idea Nestlé (e sembra essere questa l’unica vera novità) è una risposta alla riforma Fornero (una “boiata” Squinzi dixit) che, alzando l’età di pensionamento, impedisce alle aziende di liberarsi dei lavoratori più anziani e, spesso, con gli stipendi più alti. Due anni fa Unicredit, la più internazionale delle banche italiane, accettò la proposta avanzata dai sindacati di assumere i figli dei dipendenti che avessero deciso il prepensionamento, ma fissando alcuni paletti come laurea e conoscenza dell’inglese. Ma in tempi di vacche magre scivoli e pensionamenti anticipati, magari a carico della collettività, sono un lusso che non possiamo più permetterci. Di qui l’idea di Nestlé che altre multinazionali potrebbero seguire e che farà discutere ancora, dopo lo sciopero di oggi.

Giovanni Cocconi

 

Saluti 15 febbraio 2012

Filed under: Uncategorized — Marco Maffioletti @ 12 h 33 min

Da settembre non ho aggiunto nulla al blog. Non sono morto, non ho smesso d’interessarmi agli argomenti che ho finora trattato in questi spazi. Solo, non ho molto tempo perché sono sempre più preso dal lavoro di ricerca e insegnamento.

In questo freddo febbraio dovrei riuscire a liberarmi un po’, e mi rimetterò al blog con attenzione per inserire alcuni testi interessanti che ho trovato sul net, appunti diversi che ho preso negli ultimi tempi, links e così via. Ho raccolto parecchio materiale, basta solo condividerlo.

Ora mi rimetto al Castronovo e alla sua monumentale storia della FIAT, che mi aiuta non poco nella preparazione di un corso universitario.

A presto …

 

Corporativismo e pluralismo – Schmitter e Matteucci 6 settembre 2011

Filed under: Uncategorized — Marco Maffioletti @ 12 h 31 min
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LEGGI GLI APPUNTI SU Schmitter, Philippe – Corporativismo-corporatismo e Matteucci, Nicola – Pluralismo

 

Corporatismo e pluralismo sono teorie politiche fino a un certo punto interscambiabili. Si potrebbe leggere gli articoli di Matteucci e Schmitter (in Enciclopedia Treccani delle Scienze Sociali) in parallelo, credendo che parlino entrambi di uno stesso sistema di articolazione tra Stato e società, almeno finché entrambi non fanno riferimento alla teoria «rivale».

 

 

 

Corporatismo e pluralismo: punti comuni

 

Riduzione del potere monopolistico dello Stato e ricomposizione della società individualistica tramite una valorizzazione dei «corpi intermedi» (associazioni culturali, economico-professionali, politiche, ecc.) «estranei» o collaterali all’apparato e all’amministrazione centrale o periferica dello Stato.

 

 

 

Corporatismo e pluralismo: punti contrapposti

 

Schmitter mette in luce le differenze in modo analitico ma senza dilungarsi poi troppo sugli aspetti del corporatismo criticati dai pluralisti, proprio ciò che Matteucci sottolinea rapidamente, mostrando la propria preferenza per il pluralismo: «una concentrazione di potere, che contrasta con il pluralismo degli interessi e che preclude ad ‘estranei’ l’accesso al tavolo privato delle decisioni. […] I pluralisti sostengono un centro debole e una periferia forte, i neocorporativi un centro forte e una periferia debole».

 

Se a favore del corporatismo Schmitter può fornire un solo dato oggettivo (statistico): la maggiore pace sociale nei paesi neocorporativi, e Matteucci conclude scrivendo «che solo un regime autoritario può garantire la pace sociale», è chiare dove quest’ultimo vuole andare a parare: il (neo)corporati(vi)smo è una forma di governo degli interessi fortemente razionalizzatrice, modernizzatrice, che aumenta il numero degli attori nei processi di formazione delle decisioni, imposte però anche a quei gruppi che non vi partecipano e non hanno un’effettiva rappresentanza. È lo stesso rischio della democrazia mostrato da Tocqueville: la prevaricazione non democratica della maggioranza sulle minoranze. Da sottolineare che, riferendoci alla tabella di Schmitter, sotto «corporatismo» troviamo, da un lato, ”unità”, ”differenziato”, ”coordinamento”, ”gerarchico”, ”strutturata”, ”stabili” – tutti termini che richiamano appunto all’ ”organizzazione” razionale della società – e dall’altro ”monopolistiche”, ”non volontaria”, ”indottrinamento”, ”autorità”, ”sanzioni” – parole che fanno pensare alla limitazione centralizzata delle libertà.

 

Così, sembrerebbe che il corporatismo risulti essere un’organizzazione funzionale alla crescita economica, ma il cui scopo non è lo sviluppo della democrazia, delle libertà e della persona individuale. Eppure, Schmitter ci mette in guardia: «Le relazioni spontanee, volontaristiche ed episodiche esistenti nei regimi pluralistici sembrano più libere in linea di principio, ma nella pratica determinano una maggiore ineguaglianza di accesso al processo decisionale. I gruppi privilegiati, numericamente limitati, più compatti e dotati di risorse concentrate, sono per natura avvantaggiati rispetto ai gruppi più vasti e dispersi quali i lavoratori e i consumatori. Il corporatismo tende a rendere più omogenea la distribuzione delle risorse tra le categorie meglio organizzate e a garantire quantomeno una parità formale di accesso al processo decisionale.». Come dire: uno sparuto gruppo di finanzieri della City capace di mobilitare grandi somme di danaro, di influenzare o imporre alcune scelte politiche, di dirigere l’opinione pubblica, ha molto più potere di milioni di lavoratori finché i due gruppi di interessi non vengono riconosciuti come unità che, forzando certo le specificità di ogni membro in un’interpretazione generale del bene comune, discutono e patteggiano le decisioni economiche, politiche, sociali. Inoltre, Schmitter conclude prevedendo un futuro di mesocorporatismi, locali e specialistici, dove in qualche modo verrebbe recuperata una certa rappresentanza degli interessi minori, frammentari – che è proprio quanto i pluralisti sentono mancare nella teoria neocorporativa.

 

Riteniamo quindi che corporatismo e pluralismo tendano entrambi alla rappresentanza di tutti gli interessi, ma tramite percorsi sostanzialmente differenti. Mantenendo un atteggiamento pragmatico e razionalista di fronte alla complessità della società – che sarebbe controproducente riprodurre/imitare nella politica – il corporatismo la ridurrebbe a uno schema semplificato, a due macro-soggetti (lavoratori e datori di lavoro), arricchiti poi da gruppi più specifici (operai specializzati nel vetro, impiegati nella meccanica torinese, ecc.). Il pluralismo, invece, esprimerebbe il principio della giusta libertà per tutti gli individui e per tutti i gruppi, premettendo la necessità di rispettarlo a costo anche di una minore funzionalità nell’immediato. Il primo è tentato a dominare il caos, il secondo a controllarlo e, se è possibile, a rappresentarlo.