Diario a tesi

come le idee cambiano

Adriano Olivetti – un nome, una “giustificazione” 2 agosto 2012

Filed under: Uncategorized — Marco Maffioletti @ 9 h 34 min

Sul sito di http://www.europaquotidiano.it leggo l’articolo qui sotto.

Il nome di Adriano Olivetti è spesso chiamato in causa da imprenditori, sociologi, politici, professori, ecc. che intendono indicare nel nostro eporediese un modello di gestione della cosa politica. Mi sembra che il suo nome sia usato – e talvolta abusato – per difendersi, per nascondersi dietro un’immagine ormai divenuta in toto positiva nell’opinione pubblica.

Non critico la scelta di Nestlé-Perugina, che credo dia oggettivamente nuove possibilità ai giovani (benché rischi di essere dannosa per i genitori) e alle famiglie, ma l’attitudine che si manifesta dietro la prima frase di questo articolo.

 

Nestlé, dov’è lo scandalo?

«Anche Adriano Olivetti era accusato di essere paternalista». L’idea dello scambio padri-figli proposto dalla Nestlé-Perugina di San Sisto (Perugia) non scandalizza neanche un po’ Bruno Manghi, sociologo ed ex sindacalista Cisl. «Una provocazione? Macché. Anzi una proposta già messa in pratica, con il consenso tacito dei sindacati, anche in Italia e anche di recente, per esempio all’Anas e alle Poste».
Eppure oggi allo stabilimento umbro si sciopererà due ore per ogni turno, anche per dire no alla “marchionizzazione della Perugina”, come l’ha definita con toni un po’ fuori posto il segretario della Cgil Umbria Mario Bravi.
L’idea di Gianluigi Toia, direttore delle relazioni industriali della Nestlé Italia, fa però discutere: part time da 30 ore settimanali ai padri in cambio di un posto ai figli. Uno stipendio e mezzo in famiglia e forze fresche in azienda, secondo la Nestlé. Un modo per dividere un posto di lavoro fisso in due precari, ribattono i sindacati che hanno deciso il blocco di oggi in modo unitario in un’azienda con un vissuto di relazioni industriali relativamente buone.
C’è qualcosa di nuovo anzi di antico nel “patto generazionale” proposto dalla Nestlé. «Se vai a studiare i cognomi dei dipendenti di molte fabbriche, anche della Fiat in certi anni, scopri che sono gli stessi, che il lavoro si è spesso tramandato di padre in figlio», spiega Manghi. «E non solo in Italia: la Michelin, per esempio, ha una storia di grande paternalismo». Un regime di job-property familiare che non piace, per esempio, a un esperto di diritto del lavoro come Pietro Ichino.
Manghi, invece, non si straccia le vesti e invita i sindacati a guardare dentro la proposta prima di rigettarla. «Forse perché di fronte alla delinquenza del capitalismo finanziario un po’ di nostalgia è giustificata». E a chi dice che l’assunzione dei figli è ingiusta rispetto ai tanti che cercano un lavoro senza essere “figli di” il sociologo risponde: «Ma non esiste il concorso universale, le aziende private non assumono per concorso e spesso assumono il figlio perché il padre ha lavorato bene. E poi dove sta scritto che un giovane più intelligente ha più diritto al lavoro di uno meno intelligente?».
L’idea Nestlé (e sembra essere questa l’unica vera novità) è una risposta alla riforma Fornero (una “boiata” Squinzi dixit) che, alzando l’età di pensionamento, impedisce alle aziende di liberarsi dei lavoratori più anziani e, spesso, con gli stipendi più alti. Due anni fa Unicredit, la più internazionale delle banche italiane, accettò la proposta avanzata dai sindacati di assumere i figli dei dipendenti che avessero deciso il prepensionamento, ma fissando alcuni paletti come laurea e conoscenza dell’inglese. Ma in tempi di vacche magre scivoli e pensionamenti anticipati, magari a carico della collettività, sono un lusso che non possiamo più permetterci. Di qui l’idea di Nestlé che altre multinazionali potrebbero seguire e che farà discutere ancora, dopo lo sciopero di oggi.

Giovanni Cocconi

 

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