Diario a tesi

come le idee cambiano

Adriano Olivetti, Luciano Gallino e il lavoro 23 agosto 2012

Filed under: rifletto,testi — Marco Maffioletti @ 10 h 58 min
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Luciano Gallino è un sociologo italiano che, come Franco Ferrarotti, è cresciuto in quanto tale nella Olivetti di Adriano.

Non mi dilungo sull’importanza degli studi sociologici di Gallino, per i quali non avrei tra l’altro la capacità e le conoscenze necessarie per giudicarli. Si sfogli solamente il suo Dizionario di sociologia, edito dalla UTET nel 1978 e poi ristampato ben altre sette volte.

Non mi dilungo nemmeno sui suoi L’impresa responsabile. Un’intervista su Adriano Olivetti (Comunità, Torino, 2001), La scomparsa dell’Italia industriale (Einaudi, Torino, 2003), L’impresa irresponsabile (Einaudi, Torino, 2005), Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità (Laterza, Roma-Bari, 2007) o il più recente Finanzcapitalismo. La civiltà del denaro in crisi (Einaudi, Torino, 2011), che riflettono tutti sulla frattura che a partire dagli anni ’80 è divenuta (almeno per ora) definitiva tra impresa e società, tra economia reale ed economia finanziaria, tra lavoro e capitale.

Mi soffermo invece su due cosette che il nostro ha pubblicato recentemente, e che testimoniano la sua volontà di smantellare i luoghi comuni sul valore del lavoro per l’uomo, per mettere in crisi le situazioni comunemente accettate e talvolta condivise da chi le subisce come la flessibilità, la precarizzazione generale, l’accettazione delle condizioni dettate dal capitalista che ha in vista il solo profitto. situazioni comunemente accettate perché da noi non sufficientemente riflettute, ma solamente perché non tutti siamo sociologi né abbiamo potuto vedere quanto il mondo è cambiato dal secondo dopoguerra ad oggi. Queste due cosette, di cui metto il link sotto, testimoniano che Gallino, a 85 anni (sic! è nato nel 1927), senza dare fiato alle trombe ma con la pacatezza dell’analisi e dell’osservazione, è certo che il mondo del lavoro e, di riflesso, i disequilibri sociali possano essere nettamente migliorati guardando nel passato l’esperienza e il pensiero di Adriano Olivetti. È il suo mantra da 50 anni: osserviamo l’insieme del pensiero e dell’azione di Olivetti; cerchiamo di capirne, più che le cause, gli scopi e le modalità; giudichiamo la bontà e i difetti; rimettiamo in circolo queste idee e questi modi agendi; facciamo in modo che il lavoro ritrovi la propria dignità, che i lavoratori (che non sono solo gli operai, che secondo un mito non sono più in Italia ma solo nei paesi del Bric) ritrovino un’unità esistenziale, ridivengano padroni della loro condizione umana tanto sul luogo di lavoro che negli spazi e nei tempi liberi.

Voglio mettere in evidenza un passaggio, dove è evidente che il ragionamento di Gallino è estremamente semplice e lineare, però è in grado di mettere in luce significati importantissimi, forse dimenticati da altri studiosi di Olivetti

Sorge qui una seconda domanda: per quali motivi la Olivetti agiva in quel modo? Un motivo non trascurabile è che la sua direzione sapeva bene come lavoratori ben retribuiti, sicuri del posto di lavoro, consapevoli di poter contare su servizi sociali che proteggevano loro e la famiglia dai rischi dell’esistenza, e intanto assicuravano a tutti i suoi membri una buona qualità della vita, lavorano di più e meglio. C’è però un motivo più profondo. Ricorre spesso nei discorsi e negli scritti di Adriano Olivetti. È l’idea che, per un verso, i lavoratori traggono un vantaggio dall’impresa che fornisce loro i mezzi di produzione che si trasformano in lavoro e salario. In questo senso essi sono in debito con l’impresa. Per un altro verso l’impresa contrae un debito ancora più grande con i lavoratori a causa della fatica che richiede loro, le capacità professionali che sfrutta, gli oneri che a causa dei suoi tempi e modi di produrre scarica sulla famiglia. Pertanto essi maturano il diritto a essere ripagati in diverse forme, non solo economiche.

 

Vocazione e missione 25 Maggio 2011

Filed under: rifletto — Marco Maffioletti @ 0 h 09 min

A volte mi percepisco come una persona che ha una missione. Non conosco questa missione.

Alla ricerca di una risposta, penso a me stesso, a quell’aggregato di esperienze diversissime che mi rendono la persona che sono, cerco di capire chi sono per capire cosa devo fare, mi chiedo cosa voglio. Non trovo una risposta, ne trovo a bizzeffe.

Tento una via, quella di un’immagine di me stesso: posso mettermici seriamente per diventare un giorno un professore, posso arrampicare con passione e molto per arrivare almeno al 7a, posso sfuggire da qualsiasi responsabilità e sforzo, sarò un buon padre e un buon compagno. È la via della missione individuale, dove soggetto e oggetto coincidono. Una via facile – anche se non sempre – e comunque una via che con me non funziona, che non “definisce” la mia persona nella sua globalità, nel suo significato ultimo: non mi interessa chi sarò, ma cosa farò per essere.

La mia è quindi una missione che mi porta al di là di me stesso, in un movimento di inseguimento continuo.

“Al di là di me stesso”: ma lungo quale direzione? quali percorsi? cosa devo fare “al di là di me stesso” per essere me stesso?

La mia riflessione sulla mia missione termina per ora qui, dove si scontra con la figura di Adriano Olivetti: “nel compiere il mio dovere che è lavorare, come servo di Dio, a costruire le sua città, là dove sarà finito il regno del denaro. […] “come sarebbe bello un mondo senza denaro”. Ma questo verrà e per questo non posso tradire la mia missione che è socialista e cristiana, anche se la pietra che io porterò alle fondamenta del regno di Dio sarà una, e ne vorranno ancora mille e mille volte mille”.

Ecco perché studio Adriano Olivetti: egli sapeva quale era la sua missione e aveva trovato la propria via per realizzarla.

 

Chi visita questo blog? 30 aprile 2011

Filed under: rifletto — Marco Maffioletti @ 18 h 14 min
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Come sempre, ho inserito il link della tesi di Matteo Riva prima di leggere, perché l’interesse di questo blog – l’ho mai scritto qui? – non è tanto giudicare e valutare ma quanto mettere insieme tutto il materiale sul problema “Olivetti”, sparso in migliaia di pagine internet, di siti. Premetto che il lavoro di Riva, dopo uno sguardo né rapido né approfondito, sembra molto ben fatto: ben strutturato, ricco di contenuti, di informazioni, belle immagini e, non ultimo, impaginato con la sapienza e l’esperienza di uno studente in design (che s’interessa alla Olivetti!). In ogni caso, con il blog faccio lo stesso lavoro che sto compiendo con la ricerca, con la quale voglio – tra l’altro – trovare i punti in comune tra le tantissime letture dell’esperienza Olivetti, fatte da italiani, americani, francesi, tedeschi, inglesi dalla metà degli anni ’30 ad oggi (parliamo di 300 titoli almeno). Ne risulterebbe che, assumendo la funzione di “regista”, farei dialogare queste voci per capire al di là del mio ridotto punto di vista  quali sensi ci può comunicare ancora Adriano Olivetti, quali strade indicarci. Quindi, pure questo sito è innanzitutto uno strumento di ricerca, e in secondo luogo un mezzo di ridiffusione, di irraggiamento delle molteplici problematiche, problematicamente legate tra loro, che il pensiero e l’attività di Adriano Olivetti hanno suscitato.

Mi sono accorto che digitando su google “Adriano Olivetti” si trovano diverse pagine del mio blog. Spero che quanti ci capitano trovino quanto cercano, o meglio: che trovino quanto non è reperibile in altri siti su Olivetti, e non lo è se non tramite elaborate ricerche o la volontà del caso (che, ammetto, è la principale fonte di “reddito” di questo blog).

Sto riflettendo a tempo perso a un’idea che in realtà mi sollettica da un po’: creare un vero sito internet dove potrei inserire i documenti (o nel caso fosse impossibile o non concesso, almeno i collegamenti) presenti in altri siti e, quando saranno meno “privati”, tutto quanto faccio e scrivo per la ricerca. Mi metterei sul serio se avessi maggiori “ritorni”, cioè commenti, iscrizioni al blog, che mi permetterebbero di rendermi conto che un pubblico esiste (perché wordpress che mi comunica almeno 10 visite al giorno, non mi dice nulla sull’interesse della visita, se il visitatore è soddisfatto, ecc., ma solletica solo il mio ego più egocentrico).

Chiedo quindi a chi capiterà su questo blog nei prossimi giorni di dedicarmi 5-10 minuti per scrivere anche un brevissimo commento critico, consigli, proposte, richieste, per dirmi se e come è stato usato il blog, ecc. in modo ch’io capisca se interessa esclusivamente a me oppure anche altri, se è utile, se è fastidioso e così via.

E già che ci sono, ci metto la faccia!

Saoû – Upmania
 

A colloquio con il prof. Davide Cadeddu 18 febbraio 2010

Filed under: Appunti,Colloqui,rifletto — Marco Maffioletti @ 12 h 18 min
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Ieri sera, alle 18 del 17 febbraio 2010, ho incontrato il prof. Cadeddu nel suo ufficio nell’Università Statale di Milano.

Mi aspettavo un colloquio proficuo, visto che Cadeddu si dimostra molto preciso ed intelligente nei suoi scritti, che produce con una prolificità incredibile sotto forma di articoli, saggi, introduzioni, edizioni critiche e commentate. Ma non mi aspettavo di incontrare una persona, anzi una Persona.

Certo, dato che conoscendomi ed ormai accettandomi appieno, sin dall’inizio ho ricercato una relazione non formale, quella di cui sento la necessità anche (e soprattutto) quando scambio pensieri, opinioni, conoscenze, consigli con una persona intelligente e studiosa. Arrivato nell’ufficio, con una “strategia praxis-psicologica” mi “son messo a mio agio”, e Cadeddu mi sembra che abbia gradito i miei modi.

Siamo entrati subito in una discussione su Olivetti. Ho posto una domanda, e in qualche modo Cadeddu ha risposto alla maggior parte delle (poche) che avevo annotato.  Dopo un’oretta, ne ho posta un’altra ed ha detto “Ottima domanda”, alla quale ha risposto argomentando con esattezza, “puntualità”, e rispondendo forse anche ad altre che “non avevo avuto il coraggio” di pensare con la penna.

Alle 19 e 30  sono uscito dagli edifici di via Festa del Perdono, sotto una pioggia leggera, nel buio. Felice di essere un piccolo ricercatore.

Rendiconto del colloquio

Le Edizioni di Comunità e la cultura di AO

Ad un accenno al catalogo delle Edizioni di Comunità come testo che ci consente di conoscere la formazione culturale, le fonti d’ispirazione di AO, Cadeddu si lancia in una critica di quanti – senza verificare fonti storiche, d’archivio o testimonianze autorevoli, i rapporti tra AO e gli autori – l’abbiano voluto leggere e trarre ingenuamente considerazioni sull’origine delle affermazioni di AO. Cadeddu cita ad esempio il personalismo, che senza dubbio AO conobbe attraverso “Esprit” ma che, come tutti gli altri autori letti o pubblicati, erano supporto e conforto per le sue idee.

“Dato che le idee, insomma, in politica son sempre le stesse e AO ha ideato un sistema di valori e di istituzioni innovativo, non vedo bene come e dove abbia tratto ispirazione, se non dalla propria esperienza e dalle proprie riflessioni che hanno trovato conferma, conforto e supporto in testi non strettamente politici”, dice Cadeddu, sottolineando che le fonti erano più italiane che straniere. (cf. appunti di preparazione ad un convegno dove AO annota le letture che più l’hanno segnato, ???)

Per esempio, AO sviluppa alcune idee grazie ma comunque accanto a Gobetti; la critica alla burocrazia si riscontra fortissima nel padre così come negli elitisti (Mosca, Pareto); l’antipartitismo era già nel Salvemini dell’ “Unità” 1919-21. Le idee politiche di AO  erano quindi abbastanza chiare già prima della guerra, ma si hanno poche testimonianze del suo pensiero dal 1922 fino agli appunti del ’43, raccolti da Cadeddu in Stato federale delle comunità. Idea originale di AO e “tardiva”, è quella degli Ordini politici, concepita attorno al 1943.

L’influenza effettiva ed innegabile di Luigi Einaudi su AO si riscontra da parte di AO nella depurazione del proprio progetto di riforma economico-istituzionale da persistenti tracce di corporativismo. Inoltre, il futuro presidente lo convinse della validità del collegio uninominale, che consentirebbe una maggiore responsabilizzazione dell’eletto di fronte all’elettorato rispetto ai senatori/deputati scelti/prescelti dal partito vincitore. È su questa base che AO aggiunge uno dei temi portanti della sua struttura politica, ossia il sistema progressivo, la gradualità delle promozioni nella carriera amministrativa.

Occorrerebbe ricostruire la corrispondenza tra AO ed i collaboratori delle EdC per conoscere meglio quale era il nesso tra AO e gli autori pubblicati.

Cadeddu nota come alcune ricostruzioni di Fuà, Foà, Ferrarotti, fatte a distanza di lunghi anni, rispecchiano la mitizzazione dell’immagine di AO nella loro memoria quanto della loro immagine di giovani accanto ad un miliardario geniale ed intelligente. Da un lato, osserva Cadeddu, si ricordano della loro gioventù – fatto di per sé emozionante – ma dall’altro ci si può domandare se è proprio vero che quel miliardario geniale, che aveva conoscenze in diversi campi (cultura, politica, produzione e, durante la guerra, esercito, corona, servizi segreti statunitensi ed inglesi), per missioni importanti si affidasse completamente a sbarbatelli di 23-24 anni?

L’evoluzione del pensiero e l’utopicità: come leggere AO

Si può costatare in diversi modi come vi fu un’ “evoluzione” del pensiero di AO. Occorre però notare che questa “evoluzione” risultava da piccoli adattamenti tattici, che non intaccavano l’estrema coerenza sincronica e diacronica del sistema, del pensiero olivettiano. Un primo modo consiste ovviamente nel confrontare testi composti in età diverse e soprattutto in seguito ad esperienze personali di AO, ai profondi cambiamenti del contesto sociale, ai consigli ricevuti da intellettuali appartenenti a correnti ideologico-filosofiche diverse (Ernesto Rossi, Luigi Einaudi, Giorgio Fuà, Spinelli, ecc.). Un secondo metodo d’analisi – in qualche modo meno empirico e più astratto del primo, ma più carico di conseguenze per il giudizio generale che possiamo dare al pensiero ed all’azione olivettiane – consiste nell’analisi intratestuale e nella messa in evidenza di quei passaggi del discorso in cui AO dimostra la propria disponibilità alla variazione, a mutare il proprio disegno istituzionale, non certo nell’impianto e nei principi ispiratori ma in quei particolari che aveva eccessivamente dettagliato nell’Ordine politico delle Comunità – con il timore di non essere abbastanza chiaro e comprensibile, per la sua mentalità d’ingegnere-organizzatore d’industria. Occorre quindi dimostrare attraverso i suoi testi come AO era convinto che non vi fossero piani definitivi, da applicare come verità assolute nella riforma della società, ma che ritenesse il proprio disegno come il migliore, e che lo sarebbe stato fin quando la scienza politica ed il diritto costituzionale non avessero sviluppato nuove e appunto migliori proposte, che egli avrebbe accolto. Quante volte leggendo AO ci si incappa in una lista di designazioni distintive per i rappresentanti? ma quante volte si incorre in frasi come “In vista del carattere graduale e progressivo col quale deve attuarsi la riforma sociale, non è possibile dare un quadro completo di quella che dovrà essere l’organizzazione definitiva del paese” (Adriano Olivetti Stato federale delle comunità, edizione critica e introduzione di Davide Cadeddu, Milano, Franco Angeli, 2004, p. 84)? E questo carattere pragmatico di AO non è proprio quello che ci consente di negare una sua presunta utopicità?

AO oggi: tre risposte ancora originali e valide

  • la comunità: un’idea ancora valida dal punto di vista dell’amministrazione pubblica, perché la razionalizzazione delle azioni sul territorio è ancora lontana da venire in modo programmatico e, appunto, razionale; gli economisti applicano a loro modo quest’idea studiando e definendo i distretti industriali
  • elezioni secondo principi di legittimazioni diversificate
  • gli Ordini politici, cf. funzione e non specializzazione

Risposte, proposte ancora valide e legate da un principio “superiore”: il legame tra democrazia e corporativismo (in quanto la comunità di AO è un’unità economica – come ha ripetuto più volte – e non spirituale – che sarebbe un’unificazione sperata e comunque successiva), tra libertà e riconoscimento del valore antropologico (?) di una definizione delle origini, della necessità di sentirsi parte di…una comunità.

Un profilo di Davide Cadeddu

Una bibliografia dei testi di Cadeddu ridotta ai suoi interventi su AO

(su alcuni titoli si può CLICCARE PER LEGGERE IL TESTO O I MIEI APPUNTI)

Saggi, introduzioni

Articoli, partecipazioni

  • L’ordine politico di Adriano Olivetti, in Studi in memoria di Enzo Sciacca, vol. I, Sovranità, democrazia, costituzionalismo. Atti del convegno di studi, Catania, 22-24 febbraio 2007, a cura di Franca Biondi Nalis, Milano, Giuffrè, 2008, pp. 455-458
  • Gli albori del Movimento Comunità, in «L’Acropoli», a. IX, n. 6, novembre 2008, pp. 529-554
  • Le comunità concrete, in “L’Acropoli”, a. IX, n. 6, p. 567
  • Considerazioni sull’ordine politico delle Comunità, in Quattro anni con Olivetti. Riflessioni e interviste da una “Città dell’Uomo” (2004-2007), a cura di Antonio Castronuovo e Mauro Casadio Farolfi, Imola, La Mandragora, 2008, pp. 100-105
  • Gino Martinoli e il pensiero olivettiano, in «Storia in Lombardia», a. XXVII, n. 2, 2007, pp. 57-68
  • Einaudi recensore (inedito ed edito) di Olivetti, in «Annali della Fondazione Luigi Einaudi», XL, 2006, pp. 399-419
  • Gli Olivetti e il socialismo, in «Le scienze dell’Uomo – I Quaderni», a. VI, n. 3, giugno 2006, pp. 39-54
  • Adriano Olivetti e la Svizzera (gennaio 1943-settembre 1945), in Spiriti liberi in Svizzera. La presenza di fuorusciti italiani nella Confederazione negli anni del fascismo e del nazismo (1922-1945). Atti del convegno internazionale di studi. Ascona, Centro Monte Verità. Milano, Università degli Studi 8-9 novembre 2004, a cura di Raffaella Castagnola, Fabrizio Panzera e Massimiliano Spiga, Firenze, Franco Cesati, 2006, pp. 219-238
  • L’autonomia locale di Massimo Severo Giannini, in «Storia Amministrazione Costituzione», n. 13, 2005, pp. 31-64
  • Tra antifascisti e alleati: Adriano Olivetti (gennaio 1943-febbraio 1944), in «L’Acropoli», a. V, n. 6, novembre 2004, pp. 694-711
  • Adriano Olivetti, Luigi Einaudi e l’ordine politico delle comunità, in «Il Politico», a. LXVIII, n. 3, settembre-dicembre 2003, pp. 523-557
  • Sulla sfortuna della «Comunità» olivettiana, in «Storia Amministrazione Costituzione», n. 11, 2003, pp. 39-71
  • Teoria e prassi. Aspetti del pensiero di Adriano Olivetti, in «L’Acropoli», a. IV, n. 5, ottobre 2003, pp. 588-592

 

Copia-incolla di riflessioni sparse 10 febbraio 2010

Filed under: rifletto — Marco Maffioletti @ 23 h 32 min
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Mi domando come devo presentarmi davanti ai professori, ai professionisti, quando voglio parlargli di Olivetti, che mi parlino. Mi chiedono di definirmi, ed io mi qualifico in quanto storico ed ammetto che la mia ricerca è appena sbozzata e non ha preso una strada già definitiva. Timido, inferiore, ignorante, questa è l’immagine che «voglio» dare di me, sperando che mi sia data la conoscenza, che quel qualcuno di cui da sempre sono alla ricerca si erga a guida della mia intelligenza. Per me è un gioco, e godo nell’intimo, accorgendomene solo dopo essermi allontanato un po’ più dritto di quando mi sono presentato: mi han dato parole, ho rubato la conoscenza. Povere parole, preziosa conoscenza di cui tutti sono gelosi. (Mai provato a far scaturire un insegnamento congruo e integro da un operaio old style?) Qualcosa deve cambiare. O imparo a stimare quel che sono e valgo nei fatti e nei pensieri, o resterò un piccolo niente, un parassita in più nel sistema universitario. E già mi torna in mente quanto mi ha detto Beppe, un operaio vecchia maniera, stamattina al villaggio artigiano di Modena: vè, si vède che sèi un ragàzzo intelligènte, tu.

Comunque, lasciamo perdere me e le mie incongruenze. Non dico che le domande iniziano ad affastellarsi, ma negli ultimi giorni qualcheduna m’è pure riuscito di analizzarla e di provarci una risposta. E poco fa, mangiato un arancino e un calzone siciliani, camminando mi sono chiesto: ma cosa ti interessa di Olivetti, a te? Ecco, ora mi provo a rispondermi in modo chiaro e preciso. Quindi: pausa.

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